Risposte alle domande più frequenti nella Colite Ulcerosa

A cura di Vito Annese e Siro Bagnoli
GASTROENTEROLOGIA SOD2
Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi – Firenze

Cosa c’è di nuovo nel campo della terapia ?

La cattiva notizia è che non esiste ancora il farmaco in grado di guarire dalla colite ulcerosa. In compenso ci sono diverse buone notizie. Intanto è di molto migliorata nel mondo ed in Italia la terapia di queste malattie, grazie soprattutto all’adeguato uso del cortisone. E’ ormai assai raro vedere in ospedale pazienti con colite ulcerosa in condizioni di rischiare la vita. Da poco tempo sono disponibili anche in Italia i cortisonici di nuova generazione (per ora solo il beclometasone), per bocca e per via topica. C’è un’ampia scelta di preparazioni topiche a base di mesalazina, in modo da migliorare la loro tollerabilità. Si è ulteriormente diffuso l’utilizzo dell’azatioprina (quando non sussistano già le indicazioni all’intervento) nei casi di steroido-dipendenza e di allergia alla mesalazina. L’utilizzo della ciclosporina, in centri di elevata esperienza, ha consentito di ridurre la frequenza della colectomia in urgenza nei pazienti resistenti alla terapia con steroidi. Ma le maggiori novità riguardano l’utilizzo dell’infliximab nelle forme di colite ulcerosa ad attività moderata-severa, sia in fase acuta che nel mantenimento. L’infliximab si è inoltre dimostrato efficace, al pari della ciclosporina, nel trattamento della colite ulcerosa severa resistente al cortisone. Si è inoltre in attesa che anche l’adalimumab venga autorizzato dall’Agenzia Italiana del Farmaco per la terapia della colite ulcerosa moderata-severa resistente alle terapie convenzionali. E’ in corso di valutazione un possibile ruolo dei probiotici nel trattamento della colite ulcerosa, soprattutto nella terapia di mantenimento.

Tabella II – Classificazione di Truelove-Witts della gravità della colite ulcerosa.

SEVERA

  • >6 scariche/die con sangue
  • Temperatura > 37 °C
  • Frequenza cardiaca > 90/min
  • Emoglobina < 75%
  • VES > 30 mm/hr

MODERATA

  • Forma intermedia

LIEVE

  • < 4 scariche, senza sangue
  • Non febbre, non tachicardia
  • VES < 30 mm/hr, lieve calo emoglobina

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Quale è la terapia della fase acuta dei sintomi ?

Sulla base di una serie di parametri fondamentali, individuati da circa 50 anni, si distingue l’attività della colite ulcerosa in lieve, moderata e severa (Tabella II). Nelle forme severe è indispensabile il ricovero e la terapia con alte dosi di cortisone e ciononostante in circa 1/3 dei casi può essere necessario un intervento chirurgico d’urgenza. In caso d’insuccesso della terapia cortisonica, se la situazione clinica lo consente, si può eseguire un ciclo di terapia con ciclosporina o con infliximab indifferentemente.

Nelle forme con attività lieve e moderata si inizia di solito la terapia con mesalazina per bocca e per via topica, aggiungendo i corticosteroidi in caso di scarsa risposta. Ottenuto il controllo dei sintomi, gli steroidi vengono progressivamente ma lentamente ridotti e sospesi. Nelle forme ad interessamento distale (retto e retto-sigma) può essere efficace la sola terapia topica con mesalazina. In caso di scarso successo della terapia topica con mesalazina si può passare a quella topica con steroidi o addirittura ad una terapia combinata. Non è dimostrato che la terapia con steroidi sia superiore a quella con mesalazina, ma è frequente che pazienti che non rispondono ad una terapia possano rispondere all’altra e viceversa. I due farmaci assieme possono avere un effetto sinergico.

E’ possibile che dopo un iniziale miglioramento dei sintomi la malattia non vada in completa remissione o si verifichi una situazione di steroidodipendenza, con ripresa dei sintomi alla sospensione o alla riduzione degli steroidi. In questo caso è opportuno iniziare una terapia con azatioprina.

E’ necessaria una terapia di mantenimento ?

Una delle caratteristiche della colite ulcerosa è di presentare periodiche riaccensioni (di solito 1-2 volte/anno); solo in una minoranza di casi si assiste a prolungati periodi di quiescenza. E’ opportuna pertanto una terapia di mantenimento con mesalazina perché è dimostrato che riduce significativamente la frequenza e la gravità delle riaccensioni della malattia. Inoltre è stato recentemente segnalato che la continua assunzione di mesalazina potrebbe ridurre il rischio di cancro del colon. Si discute se nei pazienti con prolungata remissione di 2-3 anni ci sia indicazione a continuare la terapia di mantenimento. Nelle forme distali la terapia di mantenimento può anche essere eseguita con preparati topici, ad esempio 2-3 volte alla settimana.  I soggetti che hanno sviluppato una condizione di steroido-dipendenza vanno invece trattati in modo continuativo con azatioprina, mentre i soggetti andati in remissione con infliximab possono continuare un trattamento di mantenimento con l’infliximab stesso.

Che rischi ha la terapia?

Ogni terapia comporta dei rischi, ma anche non fare nessuna terapia può essere una scelta rischiosa. E’ però sicuramente più rischiosa una malattia non ben controllata, perché si può assistere ad un’estensione dell’interessamento del colon o addirittura allo sviluppo di una colite severa, ad alto rischio di complicanze (megacolon tossico, perforazione, morte). La terapia di mantenimento con mesalazina è assai ben tollerata. Più a rischio di effetti collaterali la terapia immunosoppressiva e quella con biologici. Si può discutere se non valga la pena di optare per un intervento chirurgico in quelle forme di colite che si mantengono in remissione solo con queste categorie di farmaci.  

Che ruolo ha la leucocitoaferesi (Adacolumn®) nel trattamento della colite ulcerosa?

Negli ultimi anni in Giappone è stata messa a punto una particolare tecnica di aferesi leucocitaria, cioè una sorta di filtraggio del sangue del paziente che viene prelevato da una vena del braccio per passare in una sorta di filtro capace di trattenere le cellule immunitarie attivate e quindi essere reinfuso nel paziente attraverso una vena dell’altro braccio. Si tratterebbe quindi di una sorta di immunosoppressione non farmacologica. Questa metodica, praticamente priva di importanti effetti collaterali (ad eccezione di alcuni casi di ipotensione e di cefalea), si è dimostrata abbastanza efficace nel trattamento delle forme di colite ulcerosa steroido-dipendente o ad attività cronica continua lieve-moderata, in caso di fallimento della terapia immunosoppressiva o in alternativa alla terapia con azatioprina in caso di controindicazioni e/o intolleranza agli immunosoppressori. Il trattamento standard prevede un ciclo di 5 procedure (una a settimana) di circa 1 ora di durata ciascuna. Il limite maggiore della procedura è rappresentato dai costi, che non sono trascurabili, anche se i dati delle preliminari analisi di costo-efficacia sono abbastanza positivi.

E’ necessaria una terapia dopo l’intervento ?

Se viene eseguito, come dovrebbe nella maggior parte dei casi, un intervento di proctocolectomia con anastomosi tra ileo e ano, tutta la mucosa potenzialmente suscettibile alla malattia viene eliminata e quindi non serve più nessuna terapia. A volte, per motivi di tecnica chirurgica, possono rimanere 1-2 centimetri di mucosa del retto, ed in questo caso è di solito sufficiente una terapia anche intermittente con supposte o gel rettale di mesalazina. Se per un qualche motivo è stato eseguito un intervento di colectomia con anastomosi tra ileo e retto, evidentemente il retto residuo rimane infiammato ed è necessaria una terapia (di solito solo topica).

La terapia è diversa in base alla diversa estensione ?

Di solito l’estensione della malattia ne condiziona la gravità tanto che le forme di coliti severe si verificano nei pazienti con interessamento di tutto il colon o del colon sin. Le forme con localizzazione nel sigma-retto e retto determinano meno effetti sistemici ma possono comunque essere particolarmente resistenti alla terapia. In generale nelle forme più distali conviene insistere più con la terapia topica ed è meno frequente la necessità di assumere steroidi per bocca.

C’è una terapia per l’infiammazione della pouch ?

L’infiammazione della pouch, cioè del neo-retto ricostruito con l’ileo dopo un intervento di proctocolectomia, si manifesta in almeno 1/3 dei casi per motivi che ancora non sono noti. Tale complicanza è invece praticamente assente nei pazienti che subiscono lo stesso tipo di intervento a causa di una poliposi del colon. In circa 2/3 dei pazienti che sviluppano l’infiammazione si possono verificare recidive e in circa il 15% dei casi l’infiammazione diventa cronica (in media il 5% di tutti i pazienti operati). Recentemente è stato dimostrato che alte dosi di probiotici (VSL#3®) possono ridurre il rischio del primo episodio di infiammazione della pouch e il rischio di recidiva dell’infiammazione stessa. Quando è presente l’infiammazione, il cardine della terapia è il metronidazolo; in alternativa può essere usata la ciprofloxacina o altri antibiotici (come la rifaximina).. Come seconda linea di terapia, nei casi resistenti, ad attività cronica, gli schemi più adottati prevedono l’utilizzo della doppia terapia antibiotica o, in alternativa, della budesonide orale. In caso di pouchite cronica refrattaria può essere preso in considerazione anche l’infliximab.

Bisogna continuare la terapia durante la gravidanza ?

Per la Colite Ulcerosa vale quanto già detto per la malattia di Crohn.   La mesalazina, il cortisone, l’azatioprina ed anche i biologici, se necessario, possono tranquillamente essere usati in gravidanza. La brusca e immotivata sospensione della terapia e l’eventuale riaccensione della malattia possono avere effetti negativi sul feto (ad esempio una crescita più lenta).  In generale è opportuno intraprendere la gravidanza in un periodo di remissione della malattia; in questo caso solo nella minoranza dei casi la malattia avrà una riaccensione durante la gravidanza. Non c’è motivo di sospendere la terapia con mesalazina, che può essere tranquillamente usata per tutta la gravidanza. Può essere opportuno evitare la terapia topica con clismi nei primi tre mesi se non strettamente necessario per evitare il potenziale rischio di stimolare contrazioni uterine ed un aborto precoce. Se possibile conviene ridurre e sospendere il cortisone in quanto potrebbe favorire un esagerato aumento del peso e della glicemia. D’altra parte se il cortisone è necessario, non ci sono effetti negativi sul feto che anzi “matura” più rapidamente; solo in caso di elevati dosaggi e lunga durata del trattamento può verificarsi un’inibizione del surrene nel neonato nei primi giorni di vita. Non sono noti chiari effetti negativi dell’azatioprina sul feto, ma alcuni medici ne consigliano a scopo precauzionale la sospensione prima del concepimento.Anche i biologici, sebbene siano capaci di oltrepassare la barriera placentare, soprattutto nell’ultimo trimestre di gravidanza, non sembrano correlarsi con problematiche importanti a carico del feto. A scopo prudenziale sarebbe comunque preferibile, se è possibile, sospenderli nell’ultimo trimestre di gravidanza.